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Investire in bioplastica

investire in bioplastiche

Ogni volta che vai al supermercato e fai acquisti torni a casa con sacchetti e contenitori di plastica: materiale che poi ritrovi, purtroppo, abbandonato a bordo della strada, nei fiumi, nei mari e persino sulle cime delle montagne.

Per eliminarla, però, non è sufficiente dire basta plastica, basta inquinamento. È necessario trovare un valido sostituto, perché, ormai, la plastica è parte integrante della quotidianità.

Per questo, decine di aziende, start up e privati stanno investendo nella ricerca di alternative con le quali rimpiazzare questo materiale, almeno nella sua forma monouso. Ed è qui che entrano in campo le bioplastiche.

In questo articolo ti spiegheremo cosa sono le bioplastiche, quali sono le aziende che stanno seguendo questa direzione e perché potrebbero essere una buona fonte di investimento.

Bioplastiche: cosa sono?

Con il termine “bioplastiche”, si intende una parte della famiglia delle plastiche che non deriva direttamente dal petrolio, ma è di origine rinnovabile o realizzata con materiali biodegradabili e compostabili.

La bioplastica può avere origine in diversi modi: scarti agricoli o alimentari, biomasse, ma anche da alghe, trucioli di legno, acque reflue e addirittura CO2. In realtà, ogni composto organico presente sul Pianeta può essere un punto di partenza per realizzare bioplastica.

I vantaggi del suo utilizzo sono diversi:

  • ridottissimo impatto ambientale
  • la rinnovabilità delle risorse
  • la possibilità di riciclo
  • l’eliminazione di scarti agricoli

Gli svantaggi sembrano, invece, essere pochi, anche se il costo elevato rispetto alla plastica risulta essere ancora uno degli scogli più difficili da superare.

Per questo numerose aziende stanno investendo per migliorare i processi e le strategie per la creazione di materiali ad alte prestazioni, ma più economici.

Plastica: le nuove normative

Gli ambientalisti non sono gli unici ad aver compreso che il problema il problema della plastica sta diventando una priorità.

La Comunità Europea ha stanziato delle normative importanti a riguardo e anche l’Italia si è impegnata per ridurre l’utilizzo dei polimeri di origine fossile.

A tal proposito, la legge 30 dicembre 2018, n. 1451 (c.d. legge di bilancio), ha introdotto nel Testo Unico Ambientale un nuovo articolo – ossia l’art. 226-quater –  che regolamenta la produzione di plastiche monouso.

In particolare, con tale norma – a decorrere dal 1 gennaio 2019 e sino al 31 dicembre 2023 –  i produttori di oggetti in plastica, su base volontaria e in via sperimentale, possono scegliere di:

  • adottare modelli di raccolta differenziata e di riciclo di stoviglie in plastica da fonte fossile, favorendone la reintroduzione nel ciclo produttivo;
  • produrre, impiegare ed avviare a compostaggio stoviglie fabbricate con biopolimeri di origine vegetale (o biodegradabile);
  • utilizzare entro il 31 dicembre 2023 plastica biodegradabile, in alternativa alle plastiche di fonte fossile per la produzione di stoviglie monouso.

Questa normativa richiederà uno sforzo importante da parte di tutte le aziende, soprattutto le medio/piccole che potrebbero essere agevolate, ad esempio, con una serie di incentivi statali.

Nonostante le difficoltà del caso, l’Italia ha già iniziato a farsi strada verso un’economia più green, tanto che dal primo gennaio 2019, ha vietato la commercializzazione e produzione su tutto il territorio nazionale di cotton-fioc con il supporto in plastica o comunque in materiale non biodegradabile e compostabile.

L’Italia anticipa, così, di oltre due anni, la messa al bando di determinati prodotti in plastica, confermandosi quale protagonista assoluta nel panorama delle politiche ambientali sostenibili.

Per questo motivo molte start-up hanno deciso di fondare il proprio business su materiali e processi ecosostenibili e anche la Borsa sembra, di conseguenza, andare in questo settore.

Le start up della bioplastica

Nonostante il problema della plastica sia diventato solo ultimamente di dominio pubblico, molte sono le aziende che da anni progettano bioplastiche a base totalmente vegetale.

Tra le varie realtà citiamo Agar Plasticity, azienda del collettivo giapponese Amam premiata già due anni fa col Lexus Design Awards e Tomorrow machine, che produce imballaggi in zucchero e cera che scadono con il prodotto.

Abegoo, made in Usa, realizza rivestimenti per alimenti in cera d’api e resine e Paptic, finlandese, dal 2015 ha creato shopper e contenitori in un nuovo materiale a base di fibre di legno degradabile al 95%.

E in Italia?

Anche nel Bel Paese l’urgenza post plastica si sta facendo sentire, tanto che sono nate diverse start up che si stanno dedicando alla ricerca di una valida alternativa.

Planeta Renewables ha scelto il miscanto come materia prima, un’erba che cresce su terreni incolti. La tecnologia è la stessa in uso per il mais e la start up, fresca di fondazione e con 1.400 tonnellate di biomassa procacciata grazie ad autofinanziamenti, sta cercando un acquirente che voglia sperimentarla.

Packtin, start up spin off dell’università di Modena e Reggio Emilia, propone l’utilizzo di scarti alimentari come le bucce della frutta o della verdura, che possono diventare polimeri plastici biodegradabili e compostabili per il packaging.

Mogu, startup fondata nel 2015 ha raccolto 2 milioni di euro di fondi europei per la creazione di biopolimeri a partire dai funghi. Attualmente i materiali sono utilizzati nel settore dell’interior design, come la pannellistica per parete o pavimento.

Bio-on: la start up quotata in borsa

Questa tendenza “green” sembra essere apprezzata da molti, soprattutto dagli investitori finanziari. La Borsa, infatti, sta scommettendo sempre di più su prodotti a basso impatto ambientale, considerando  l’esigenza crescente da parte dei consumatori di un mondo meno inquinato.

Così si spiega la corsa a Piazza Affari delle azioni di Bio-On, la società bolognese quotata all’Aim che realizza un prodotto a base di bio-plastiche, detto Minerv Biorecovery.

Di cosa si tratta? Bio-On fa bioplastiche totalmente biodegradabili realizzate attraverso la fermentazione batterica dei residui della barbabietola da zucchero e della canna da zucchero.

I suoi tecnici hanno scoperto che alcune micro-polveri che derivano da bio-plastiche, se gettate nel mare inquinato, formano una struttura porosa che diventa l’habitat naturale di alcuni batteri, già presenti nell’ambiente marino.

Queste creature, nutrendosi delle bioplastiche, si rafforzano fino ad aggredire gli idrocarburi, che eliminano nel giro di tre settimane senza rilasciare nessuna scoria.

Nata nel 2007, oggi la società vale più di 1 miliardo di euro ed è diventata il primo unicorno italiano dopo Yoox.

La sua ascesa in Borsa è stata, a dir poco, incredibile: +100% dall’inizio dell’anno, +200% negli ultimi 12 mesi e +820% da quando è stata quotata a Piazza Affari, nell’ottobre 2014.

Allora le azioni vennero valutate 5,82 euro, oggi se vuoi comprare un titolo Bio-On devi pagarlo 58 euro, dieci volte tanto.

Scendendo nello specifico, la start up ha chiuso il 2017 con ricavi più che raddoppiati a 11 milioni di euro dai 5 milioni dell’anno prima, un Ebitda di 7 milioni (+710%) e un utile netto di 5 milioni.

Astorri, CEO della compagnia, conferma l’obiettivo del 2018 di un fatturato a 50 milioni di euro e punta ai 100 milioni per il 2019.

Investire nella bioplastica conviene?

Business Insider ha puntato i riflettori su questa azienda “made in Italy” che potrebbe avere prospettive eccezionali, ma la sua capitalizzazione in Borsa desta alcuni dubbi.

Saresti disposto a comprare le azioni di una società che vale 100 volte il fatturato? Rispondere non è semplice.

Sul titolo non ci sono studi di broker, né italiani né stranieri, a parte quello di Banca Finnat, l’istituto che ha accompagnato Bio-On alla quotazione., che è stata comunque travolta dal rialzo del titolo.

Il report del maggio scorso si conclude con la raccomandazione Buy, ma il target price è fermo a 37 euro, abbondantemente superato dalle quotazioni attuali.

Trovare dei termini di paragone, inoltre, sembra essere un’impresa ardua, dato che non esistono società quotate dello stesso settore di Bio-On.

Tra i nomi più noti dell’hi-tech troviamo Netflix, che al Nasdaq ha messo a segno performance molto simili alla start up italiana: +100% da inizio anno e +172% negli ultimi 12 mesi, ma la capitalizzazione di Borsa, è pari a 10 volte i ricavi, non a 100 volte.

Detto ciò, nel caso decidessi di investire in questa società, ti consigliamo di valutare Bio-On non con i numeri, ma in base alle prospettive.

La sua storia, infatti, ricorda molto quella di Apple di Steve Jobs, nonostante sia uscita da tempo dal garage e sia corteggiata dai giganti mondiali della cosmetica che vogliono le sue micro-perline biodegradabili da inserire nei loro prodotti.

 

 

 

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